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SIMONE MARTINI 1284 – 1344

Pittore e miniatore senese che crebbe nella scuola di Duccio.

La Maestà per la Sala delle Balestre del Palazzo Pubblico di Siena è tra le sue opere più famose tra le più particolari.

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Si trova all’interno di un insieme di affreschi a carattere politico con la raffigurazione dei castelli del contado acquistati e conquistati dal comune.

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1314: Castello di Giuncarico

1330: Guidoriccio da Fogliano

1331: Arcidosso e Castel del Piano

Fu realizzata dal 1313 al 1315, restaurata da lui stesso e dalla sua bottega  nel 1321.

L’opera presenta chiare componenti duccesche ma si rivela ricca di spunti pittorici nuovi.

La concepisce come una grande opera orafa, arricchita da decorazioni con punzoni in oro zecchino, parti metalliche colorate, rilievi in stucco e persino carte sull’arriccio per i cartigli.

Notiamo che la Vergine non è più quella figura iconica bizantina ma la mater umana scesa in mezzo al popolo di Siena con la sua corte celeste.

Creata da una linea fluida e armoniosa dai colori tenui, le ampie vesti e il movimento del baldacchino come mosso dal vento , l’ondeggiare degli angeli e dei santi accanto al trono; la ricchezza di ricami di stoffa, gli ornamenti , l’oro lucente annullano il passato.

L’accurata stesura filamentosa del colore nei volti con l’uso di forti penombre per le occhiaie e attorno ai nasi e ai menti, addirittura le rughe nei volti più anziani.

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Ma la cosa ancora più stupefacente è la colorazione degli occhi; qui troviamo volti diversi con iridi di colore diverso addirittura azzurre.

E’ il primo caso nella pittura italiana.

Lo studio minuzioso continua anche nelle posture, tutti i personaggi hanno posture diverse che però colloquiano tra loro e danno uniformità al movimento dell’intera scena.

350px-Maestà_di_simone_martini,_siena_palazzo_pubblico_1315-1321 Simone Martini, Maesta' , Dettaglio, 1317, affresco, Palazzo Pubblico , Sala del Mappamondo, Siena

Accanto al significato culturale vi è quello religioso e sopratutto civile conferitogli dalle numerose iscrizioni inserite nell’affresco.

La Vergine è una Regina contornata da una corte ”celeste” attorniata dai più alti dignitari che sta sotto un pregevole baldacchino segno del potere del monarca.

Alla corte i quattro santi patroni della città inginocchiati chiedono suppliche leggibili nei cartigli e nelle scritte dell cornice alla Regina per il bene della città, consacrata alla Madonna dal 1260.

”DILETTI MEI

PONETE NELLE MENTI

CHE LI DEVOTI VOSTRI PREGHI ONESTI

COME VORRETE FARO CONTENTI.

MA SE I POTENTI A’ DEBIL’ FIENO  MOLESTI

GRAVANDO LORO O CON LE VERGOGNE O DANNI

LE VOSTRE ORAZION NON SON PER QUESTI

Nè PER QUALUNQUE LA MIA TERRA DI INGANNI.”

Nella cornice all’interno di tondi perfetti troviamo il Salvatore benedicente con i profeti, evangelisti e patriarchi con una precisa spazialità resa con i libri e gli oggetti che oltrepassano le cornici. Mentre angeli e arcangeli con santi e sante fanno da coronamento alla Madonna.

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Assieme a questi vi è la personificazione straordinariamente ben fatta del Vecchio e Nuovo testamento con le sette virtù teologali e cardinali con il decalogo dei sacramenti del Buongoverno.

Sicuramente qui esce fuori il simone orafo con l ‘uso dei decori impressi nella malta fresca con gli appositi stampini come quello a fiore con otto petali usato anche da Duccio, o le aureole raggiate o le corone alla francese per la Maestà e le sante.

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Un maestro del Trecento italiano che continuò la rivoluzione duccesca fino al nuovo stile gotico.

 

DUCCIO DI BUONINSEGNA 1255-1319

Maestro della scuola senese di cui non si sa molto. Compare come pittore in alcuni documenti del 1285, quando fu chiamato dalla Compagnia dei Laudadesi di Santa Maria Novella che gli affida la Maestà Rucellai. L’opera che lo rese famoso e che poi gli portò il grandioso incarico per il Duomo di Siena della tavola della Maestà.

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Particolare Rucellai

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Maestà del Louvre

Madonna Rucellai_Uffizi-Firenze Maestà Rucellai

La RUCELLAI è il più grande dipinto del ‘200 che doveva rendere la chiesa di Santa Maria Novella la più importante chiesa domenicana della città. Considerata per molto tempo opera di Cimabue, il primo che l’attribui a Duccio fu Wickhoff. Sicuramente è molto evidente la vicinanza a Cimabue nello studio del  chiaroscuro come nella Maestà del Louvre  di Cimabue; dove possiamo notare il mantello della Vergine articolato in pieghe concentriche che danno all’intera figura un andamento circolare.

Qui non troviamo però le novità gotiche introdotte da Duccio; come il bordo dorato del manto che percorre l’intera figura increspandosi, spezzandosi, creando la stoffa e lo studio minuzioso dell’oreficeria senese famosa per gli smalti che ritroviamo nel drappo che ricopre il trono.

La sua prima opera riconosciuta è La Madonna di Crevole del 1280.crevole

La luce vibrante,  le mani della Vergine non più a cucchiaio come le Majestas bizantine ma dalla presa dolce come i volti e poi il particolare del bambino  3/4 con un corpo dalla linea sempre più fluida addirittura rappresentato nel gesto tenero di abbracciare la madre che sarà una novità per l’ambiente artistico e verrà ripreso molte volte dai contemporanei e successori di Duccio.

L’opera che lo rese famoso fu la Maestà per il Duomo di Siena commissionatagli dal Governo dei Nove nel 1308.

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Bellissima per il suo aspetto di icona bizantina astratta e lontana dal pubblico che ne rimane abbagliato per la bellezza e  per la luce dorata del fondale da cui spiccano tutte le figure dell’opera studiate minuziosamente nei dettagli con un incanto coloristico unico.

Anche la carpenteria è innovativa; è un bifronte dipinta su entrambi i lati per questo autoportante formata da 11 tavole verticali  di pioppo per la parte frontale e 5 assi orizzontali per il retro.

Doveva essere un monumento politico oltre che religioso alla grandezza della città di Siena, per questo doveva essere spettacolare.

Larghezza: 5 mt

Altezza: 4 m

Sulla parte frontale troviamo la Madonna in trono, un trono cosmatesco in marmo non più ligneo come di tradizione, contornato da angeli; in primo piano vi sono i 4 santi protettori della città inginocchiati.

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Tutto è chiuso dalla cornice con gli Apostoli e da una predella superiore con le Storie della Vergine Maria che in pochi raffiguravano.

Tra queste la più particolare è quella rappresentante i Funerali della Vergine.

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Il retro è ancora più particolare; qui vi sono 26 storie della Passione di Cristo suddivise in 14 tavolette che si leggono da sinistra a destra prima nel registro inferiore e poi in quello superiore, inserite in origine tra colonnette e cornici oggi perdute a causa della suddivisione dell’opera che avvenne nel ‘700.

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Le scene sono piccolissime ma studiate nei particolari; come la scena di apertura del ciclo, L ‘entrata a Gerusalemme di Cristo.

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Scena dal movimento laterale della strada aumentato dalle figure che seguono il Cristo sull’asino che si snodano lungo le mura di questa Siena fittizia; in lontananza possiamo vedere finestre aperte con curiosi affacciati e ragazzi arrampicati su alberi; un tema non nuovo, lo ritroviamo negli affreschi giotteschi della Cappella degli Scrovegni 1303-1305.

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La scena della Lavanda dei piedi, episodio narrato solo da Matteo, è ancora più spettacolare nello studio dei dettagli.

Oltre all’ ambientazione di chiara ripresa giottesca all’interno di un cubo prospettico, in primo piano se si guarda attentamente vediamo un particolare quotidiano che ritroviamo solo in affreschi contemporanei di Duccio nella Chiesa di Protaton nella città di Athos in Macedonia: i sandali sciolti.

Tutto il ciclo si conclude nella tavoletta della Crocifissione che si trova collocata al centro del registro superiore. Il senso del dramma è espresso nella divisione netta dei due gruppi ai lati della scena.40-06-16/ 9

Ancora più forte il fondo d’oro da cui si stagliano le tre croci com’era uso bizantino.

Suggestivi i paesaggi nelle Tentazioni che aprono le scene della predella superiore del retro dedicata alle storie della vita pubblica di Cristo.

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Studio architettonico e ripresa dell’ambiente prospettico giottesco, dove tutto è funzionale in relazione ad un unico punto di fuga.

Possiamo dunque definire Duccio l’anello mancante della catena che riesce nelle sue opere ad unire il mondo bizantino della tradizione a quello gotico appena giunto  in Italia.